(di Gianni Schicchi) I Virtuosi Italiani, a poco più di sette giorni dal precedente incontro con Markus Placci, hanno affrontato un secondo grande violinista e direttore: il russo Dmitry Sitkovetsky, per un concerto di assoluta rilevanza.
Nel ricco programma della serata c’era infatti materiale (tutto russo) di che “sbizzarrirsi”, come la prima italiana delle Quattro Stagioni di Ciajkowskij nella trascrizione per archi di Jakov Jakoulov, a cui si sono aggiunti: il Souvenir d’un lieu cher op. 42 dello stesso Ciajkowskij, pure trascritto per archi, le Visions Fugitives op. 22 di Prokofiev e il Preludio e Scherzo op. 11 di Shostakovich con cui è iniziato il concerto.
Un limpido pezzo questo, raramente eseguito perché riferito ai lavori giovanili del compositore, dove fra il turbinare vorticoso degli archi, già si possono intravvedere i tratti fondamentali del periodo avanguardistico dell’autore, l’apparente casualità delle successioni dei vari episodi, dovuti sembra alla ricerca della varietà, meno alla necessità della sua costruzione.
Sitkovetsky, come direttore ha affrontato anche Le Visions Fugitives op. 22 di Prokofiev, una raccolta di venti brevi brani (ma nell’occasione ridotte a solo cinque) rispecchianti una serie di esperienze pianistiche del compositore, che vanno dal dinamismo barbaro alla sensibilità lirica, all’ironia giocosa, alla velocità fortemente ritmata e marcata dall’ostinato. Anche se Prokofiev era distante dalla poetica di Debussy, musicista che non amava molto, tuttavia in questa raccolta si trovano diverse suggestioni impressionistiche, mediate comunque dal pianismo di Skriabin, considerato da Prokofiev, un suo maestro.
I Virtuosi diretti da Sitkovetsky
L’esecuzione voluta da Sitkovetsky appare in certi tratti fuori stile, ma di assoluto fascino per il gusto con cui vengono cesellati i singoli quadri, letti sotto una lente del tardoromanticismo.
Grande interesse richiamavano poi le “inedite per l’Italia” Stagioni di Ciajkowskij per archi, una partitura che ha mostrato di possedere qualche atout per far capolino di tanto in tanto nelle programmazioni concertistiche. L’op. 37 si inseriva nella giovane cultura russa che sotto lo stimolo di Anton Rubinstein cercava per così dire di succedere alla cultura austro tedesca e che quindi si misurava con la Sonata elevata al rango di culmine della letteratura pianistica. Vi troviamo momenti dovuti al Ciajkowskij poeta e momenti dovuti al Ciajkowskij letterato. Un complesso affascinante tanto da aver avuto diversi padrini illustri, a cominciare da Prokofiev, che come pianista l’aveva in repertorio, eseguendola più volte.
Il nuovo rivestimento timbrico alle Stagioni firmato da Jakoulov si mostra di rara finezza, capace di potenziare la forza evocativa dei singoli quadri d’insieme e di preservarne il caratteristico candore.
Dal canto suo Sitkovetsky è ammirevole nel cogliere l’unità della partitura, nell’esaltare i contrasti e nell’assicurare la necessaria tensione drammatica, anche se in certi momenti sembra bearsi eccessivamente del virtuosismo e delle magnifiche sonorità dell’orchestra per spingerla a cercare le tinte ruvide e i contorni taglienti, capaci di rendere gli aspetti più esaltanti del pezzo, come il Carnevale del febbraio e la Barcarola di giugno.
Il violinista direttore russo è stato una guida squisita e commossa nella saggia scelta dei tempi e nella minuziosa tornitura dei fraseggi, a ulteriore dimostrazione della sua profonda conoscenza del mondo poetico di Ciajkowskij. Lo si è riscontrato pure nella restituzione del Souvenir d’un lieu (l’unico brano in cui è intervento anche da violinista) composto nel 1878, che lontano dal viscerale soggettivismo delle Sinfonie si colloca in una prospettiva prossima a quelle delle Quattro Suite, nell’aspirazione a certa gioiosa serenità della musica, come nell’eleganza levigata della scrittura e negli schemi costruttivi dei movimenti. Cordiali i consensi del pubblico al termine, compensati con un bis.