(di Curzio Vivarelli) Mi ero messo a copiare la villa di Doccia a Settignano traendola da un bel disegno a lapis dell’indimenticabile Enrico Sacchetti, pittore, caricaturista romanziere. Lo facevo con allegra sciatteria sul mio “tondino”, un foglietto di cartoncino circolare che mi è stato regalato da un impiegato che s’era trovato nell’ufficio questi obsoleti articoli di cancelleria, oggi di sicuro non più in uso. Enrico Sacchetti scrisse, oltre i suoi romanzi, anche un testo di sole settantasei pagine il cui titolo suona come molto invitante alla lettura: “I luoghi comuni del paesaggio italiano” che fu edito da Nemi intorno al 1931.
Se pochi giorni addietro avevo raccontato della lettura molto istruttiva, e persino poetica, che avevo fatto del celebre testo di Bachofen sul paesaggio dell’Italia centrale, immagino si comprenda bene quanto mi garberebbe leggere anche quest’opera di Sacchetti, dal titolo peraltro così strano!
Non la ho ancora trovata dagli antiquari e mi devo limitare a distillare, con la fantasia, tutto lo “spirito” possibile che mi viene fuori dal grappolo aromatico di queste parole raccolte in titolo: luoghi comuni del paesaggio italiano!
Che può voler dire? Una critica in pieno novecentismo pittorico dell’oleografico e del pittoresco da cartolina delle vedutine veneziane o fiorentine? Un sano scuotimento del sentimentalismo che fa venir persino le lacrime a veder la Torre Pendente di Pisa o il Cupolone non propriamente michelangiolesco di Roma? O l’associazione mentale con la pizza ed il mandolino se si ammira un quadretto con sopra raffigurati il panorama di Napoli, il pino del Vomero ed il Vesuvio?
Forse credo di essere su d’una traccia buona e probabilmente Sacchetti si burla dei luoghi comuni di questo paesaggio e ci avvisa che le nostre Alpi sono dure ed imponenti come i picchi himalayani, oppure il mare in tempesta che abbatte le onde sugli scogli liguri è feroce come l’Oceano, oppure ancora ci spalanca gli occhi sulle periferie industriali milanesi (anche a Verona non sono assenti!) che han dato materia di trasfigurazione poetica ad un Mario Sironi!
Suppongo, e devo in ogni caso attendere fino a che non mi arrivi in mano il sospirato volumetto!
Per adesso mi limito, dopo aver sbozzato a lapis la mia Villa di Doccia a Settignano, a studiare come colorire questo soave “luogo comune del paesaggio italiano” e, nella fattispecie, della collina fiorentina.
D’annunzio e Palazzeschi, letterati italiani
Mi raccontarono giorni addietro in un gustoso biglietto di come proprio a Settignano, abitasse il Palazzeschi e questi, in qualche modo, sbirciasse le bollette della luce del vicino di casa: D’Annunzio.
A casa Palazzeschi le bollette erano di circa 20 o 30 lire. Alla Capponcina, dove abitavano il poeta e la Duse, le bollette erano stabili su d’un 400 lire circa.
Dilettevole è la confidenza che ci fa l’autore delle sorelle Materassi ma anche piuttosto negativa per lui stesso. Che ci fa la figura piuttosto meschina del curiosone impertinente. Ciò per usare termini garbati.
C’è molto d’un tipico carattere italiano in questa confidenza di letterato. Strano che non si sia accorto della distanza e abbia, da buon futurista, creduto un po’ troppo a certe favole ingiuriose raccontate su di un soggetto certamente eccessivo ma senza pari per genio.
Sarebbe come se io ora dovessi comparare i costi dei miei pastelli ad olio e della bolletta che mi costa la luce sul tavolino sul quale dipingo o coloro i miei bozzetti con il costo dei pregiatissimi colori di Franz von Lenbach e la bolletta ch’egli doveva pagare per illuminare lo studio-atelier nella sua villa di Monaco. Nella quale portava a compimento i capolavori che oggi si espongono in tutto il mondo. C’è una bella differenza…
A Palazzeschi si dovrebbe dire con aria scanzonata e un tantinello di presa in giro: dopo aver sbirciato, sei tanto incurante della figura fatta che “lo vai pure a scrivere?”.