L’Italia delle centinaia di vitigni autoctoni campa, in realtà, su due bastioni che impongono il made-in-Italy vitivinicolo nel mondo: la galassia Prosecco che rappresenta il 32,1% della produzione nazionale (27% Prosecco Doc, 4,1% Conegliano-Valdobbiadene e 1% Asolo) e il Pinot grigio delle Venezie che si ferma di poco sotto al 10%.
Dopo, per valore e per volume, le quote delle denominazioni precipita: le 18 che restano per arrivare alla Top20 (e dentro si cono Sicilia, universo Chianti, Piemonte e Langhe, Valpolicella Ripasso, Trentino, Alto Adige, Franciacorta, Soave…) tutte insieme realizzano il 36% della produzione italiana, ma la più importante per numeri fra esse – la DOCG Asti – fa il 4,4%, la metà del Pinot grigio delle Venezie. Tutto il resto, le decine e centinaia di denominazioni minori, cubano il 27,7% della produzione nazionale. Ma 4 bottiglie vendute su dieci sono del ticket Prosecco-Pinot grigio.
Da questo dato un paio di considerazioni: il Veneto ha tutte le carte in regole per mantenere a lungo il suo primato nazionale e porsi fra le prime Nazioni al mondo nel vino; l’effetto traino del Prosecco si porta appresso il Pinot Grigio e gli altri bianchi (come Soave, Lugana) intercettando così un cambiamento nei consumi che mette in secondo piano i rossi (negli ultimi dieci anni il peso dei primi è cresciuto dal 47 al 62%, mentre i secondi sono calati dal 51 al 35%).
Soprattutto, Prosecco e Pinot Grigio hanno saputo reggere meglio la contrazione del mercato 2023 frutto sia dei cambiamenti di gusto, ma anche dell’over stocking sul mercato USA che resta il più importante e che, secondo una recentissima indagine realizzata da ISMEA nella DOC delle Venezie fra i produttori, resta il primo motore da riattivare per tornare ad una fase espansiva.
Il dato sugli imbottigliamenti di Pinot grigio (la DO delle Venezie rappresenta l’82% del PG prodotto nel nostro Paese) è però tornato al livello 2019 ad oltre 1,6 milioni di ettolitri anche se il fatturato delle cantine è cresciuto per una cantina su due anche nell’annus horribilis 2023 a fronte di una cantina su quattro che ha registrato una contrazione delle vendite.
Una cantina su tre si attende il fatturato in crescita anche nel 2024 nonostante il clima di incertezza.
Ma come fare per non fermare la spinta del Pinot Grigio? Le cantine del settore – fra loro tantissime cooperative con fatturati medi superiore agli 80 milioni € – puntano ancora sugli USA, un mercato sì maturo ma pronto a ripartire e già molto affezionato a questo vino (233 milioni di bottiglie vendute l’anno, di cui 224 all’estero: Usa, Uk, Canada e Germania come mercati più rilevanti) dove quindi non ci sarà bisogno di sprecare molte parole, ma servirà raggiungere bene i winelover a stelle a strisce ovunque si trovino.
Grande interesse, però, anche sui nuovi mercati: il Pinot Grigio italiano per la sua notorietà e la capacità di abbinarsi alla cucina, in modo particolare quella asiatica, riesce ad entrare anche nelle piazze controllate da altri produttori come l’Australia dove, non a caso, il PG italiano (che rappresenta più del 40% della superficie mondiale destinata a questo vitigno) vende a dispetto della produzione locale.
Per continuare a restare leader sui mercati globali il Pinot grigio italiano punta decisamente alla sostenibilità ambientale: il 18% del campione è già biologico, il 27% è in conversione, e ben sette ettari su dieci sono governati da protocolli frutto di adesioni volontarie dei produttori a protocolli certificati di sostenibilità. Un altro elemento che le nuove generazioni di winelover tengono in grande considerazione e, di fatto, la migliore assicurazione che questa leadership del PG triveneto continuerà nei prossimi anni.