(di Stefano Cucco) Utili a ristorare i livelli superficiali dei terreni, ma non certo ad incidere sulla “grande sete”, che sta colpendo vaste aree d’Italia: è questa la fotografia, che dà il report settimanale dell’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche alle piogge cadute sulla Penisola e che, in attesa del ritorno ad una situazione idroclimatica normale dopo un inverno insolitamente secco, tornano a disegnare un’Italia meteorologicamente “a macchia di leopardo”, dove la scarsità idrica continua a caratterizzare il periodo. Profondo rosso per il bilancio idrico dei fiumi veneti con l’Adige, che continua a segnare il record negativo in anni recenti, così come Piave, Livenza e Brenta.
Esemplare delle peggiori performance è il bacino lombardo del fiume Brembo, che segna -78% nelle disponibilità idriche , rispetto alla media storica e addirittura -81% nell’indice nivale SWE (Snow Water Equivalent); nella stessa regione resta abbondantemente sotto media il fiume Adda che, pur riprendendosi, vede ampliarsi il divario con la media storica (-54,6%) e con il 2021 (-70,75%). Nella regione, a Cremona finisce sotto media anche il fiume Po, così come a Piacenza (-30 centimetri circa in due settimane), in un’Emilia Romagna, caratterizzata dal deficit pluviometrico, che interessa ¾ della regione e da portate in calo nei fiumi appenninici, ridotti ai minimi termini (Secchia: 2,7 metri cubi al secondo contro una media di mc/sec 24,1 ed un flusso di mc/sec 40,22 un anno fa).
Dopo 60 giorni senza significativi eventi meteo (da ottobre sono caduti 100 millimetri in meno di pioggia, cioè -25% rispetto alla media storica), la situazione generale nel distretto del Po sta leggermente migliorando, ma la crisi idrica, registrata finora e l’aridità dei suoli, unite a temperature sopra la media ed all’assenza di precipitazioni in quota, hanno generato marcate criticità, incidendo soprattutto sugli equilibri degli habitat e dell’agricoltura. Questa condizione di “siccità idrologica invernale” è la più grave da 30 anni anche per i corsi d’acqua tributari, toccando portate ridotte anche del 50%. Per quanto riguarda i flussi del Grande Fiume, persiste una pesante magra invernale con una diminuzione del 34% nelle portate: a Pontelagoscuro si è registrato oltre il 40% in meno sul valore di portata medio, già sfiorando la prima soglia di allerta. L’inverno secco, che sta coinvolgendo l’intera Europa mediterranea, non solo compromette la biodiversità, ma sta incidendo sull’ umidità del suolo e sulla produzione idroelettrica, che ad oggi è in linea con gli anni peggiori, a causa dello scarso accumulo di risorsa nei bacini montani.
“E’ la conferma di quanto la disponibilità idrica sia ormai un fattore strutturale per l’economia italiana“, commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI). Come detto, situazioni climatiche localizzate fanno sì che i laghi Maggiore, Benaco e Lario siano in seppur leggerissima crescita, mentre il lago d’Iseo è solo al 12,9% del riempimento; nonostante un leggero incremento (+5,6%), la riserva idrica nei bacini artificiali delle Alpi resta largamente inferiore (-27%) alla media del periodo 2006-2020 e lo scarso apporto nevoso (vicino ai minimi con punte di -80%), unito all’assenza di piogge, non permette il rimpinguamento della risorsa stoccata. Qualche evento meteo consistente si è registrato in Liguria, dove in 24 ore sono caduti 60 millimetri di pioggia nelle zone di Rapallo e La Spezia. Nevi da record negativo e piogge scarse si segnalano in Val d’Aosta, anche se la Dora Baltea risulta in leggera ripresa. Anche nel vicino Piemonte è piovuto poco (-80%) e c’è stato un repentino calo di temperatura; ad eccezione del Tanaro non si registrano portate fluviali in ripresa con Stura, Varaita e Sesia, che rimangono ai livelli minimi. Nella regione si sono registrate morie di pesci autoctoni, causate dal notevole stress dei flussi nelle zone umide ed anche numerose tipologie di piante mostrano evidenti segni di difficoltà. Invece, la situazione dei fiumi toscani è tornata su valori di portata, conformi alle medie storiche. In leggera crescita sono anche i corsi d’acqua delle Marche, ad eccezione del Tronto; i principali invasi presentano volumi idrici in linea con la media degli anni passati dopo un 2021 costantemente in grave deficit.
Male, invece, i fiumi del bacino del Liri, che nel Lazio toccano record negativi. In Campania, i livelli idrometrici dei fiumi Sele e Sarno appaiono stabili, mentre Volturno e Garigliano sono in calo; si segnalano in ulteriore discesa anche i volumi dei bacini del Cilento, dove l’invaso di Piano della Rocca sul fiume Alento contiene la metà del volume idrico registrato un anno fa. In Abruzzo, il record negativo delle piogge nel periodo tocca a Colle Roio (-70,3%) in un quadro regionale caratterizzato da siccità e temperature invernali particolarmente miti; tiene, comunque, l’invaso di Penne, che registra una disponibilità di circa 6 milioni di metri cubi, cioè il doppio dell’anno scorso. Infine, si è notevolmente rallentata la ricarica degli invasi in Puglia e Basilicata, dove la stagione irrigua è già alle porte: in una settimana sono cresciuti rispettivamente di circa 2 milioni e mezzo e di poco più di un milione di metri cubi, marcando un forte deficit con il 2021: in entrambe le regioni mancano all’appello circa 46 milioni di metri cubi d’acqua.
“Stanti le attuali condizioni idriche e climatiche su vaste zone d’Italia, è prevedibile un forte aggravio delle bollette energetiche per i Consorzi di bonifica ed irrigazione, dovuto ai maggiori oneri di prelievo idrico per il servizio irriguo, cui si aggiungono gli enormi rincari nei costi dell’energia”, conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI. “Il nostro impegno è nella costante ricerca della massima efficienza operativa, ma è necessario nell’immediato un intervento del Governo per contenere i costi, limitando gli oneri a carico dei consorziati ed evitando forti rincari nelle produzioni agricole”.