(di Gianni Schicchi) Il terzo appuntamento, dedicato dalla Fondazione Arena al ciclo integrale del sinfonismo brahmsiano, si è focalizzato, venerdì sera al Filarmonico, su due fondamentali capolavori del compositore tedesco: il Concerto n° 2 per pianoforte e la Terza Sinfonia op.90. Specialmente in quest’ultima appare avvertito un raffronto con l’identica opera di Beethoven, non solo per l’analogia della tonalità in mi bemolle maggiore, quanto per la posizione che i due lavori assumono verso le grandi categorie espressive.
La Terza sinfonia di Brahms
Nessuna opera brahmsiana ebbe a subire giudizi tanto disparati, contradditori e fantasiosi, come la Terza; nessuna Sinfonia si guadagnò tanti titoli stravaganti, legati a qualche sua effettiva caratteristica. L’appellativo più concreto ci pare quello coniato dal critico Hanslick e dal direttore Richter che per primo la presentò a Vienna, come “Eroica” con diretto riferimento a Beethoven. L’universo che si affaccia in questa partitura–simbolo è caratterizzato dalla profonda attenzione al dettaglio, anche a costo di penalizzare l’immediatezza nella comunicazione.
La preparazione del programma al Filarmonico è stata abbastanza travagliata, a causa dell’improvvisa indisposizione (ma forse la verità è altra) che ha colpito il direttore Franz Schottky già al secondo giorno di prove Per fortuna il maestro Francesco Ommassini, un tempo prima parte dei secondi violini dell’orchestra areniana ed ora con altre mansioni artistiche in seno alla Fondazione, è stato in grado di rimpiazzarlo, salvando così lo spettacolo.
Anzi di più, perché essendo poi veneziano di nascita, è riuscito a stabilire col pianista conterraneo Pietro De Maria, un’importante concordia di intenti, testimoniata da un’esecuzione di buona omogeneità e coerenza, riscontrabile nell’ottima identità dei fraseggi e dei colori (anche se non sempre colti), come nella comune tendenza a contenere i contrasti dinamici in una dimensione più atmosferica che drammatica.
I due interpreti hanno puntato ad un Brahms classicheggiante, nel quale il tono diffuso di elegante lirismo ha prevalso spesso sulla foga oratoria, e la massiccia monumentalità architettonica del pezzo è stata sostituita da un atteggiamento di prevalente introspezione. Questa impostazione ha dominato con successo nel Concerto n ° 2 in si bemolle maggiore, che è apparso smussato nei contrasti e alleggerito nei volumi. In questo caso il momento più riuscito ci è parso bene individuato nell’Allegretto grazioso finale, restituito con incantevole trasparenza anche grazie al superbo pianismo di De Maria.
Invero non si poteva pretendere di più, viste le contenute prove di preparazione, comunque all’irreprensibile qualità tecnica, che abbiamo ammirato, ha offerto un contributo determinante l’Orchestra areniana, con splendidi interventi delle prime parti, fra cui hanno particolarmente spiccato quelle dei corni (Paolo Armato) e dei violoncelli (Sara Airoldi).
Ci pare abbia voluto poi guardare a Schumann, la lettura che Ommassini ha dato della Terza Sinfonia, per la fresca trasparenza e la costante instabilità timbrica che regola il dipanarsi del discorso. La rinuncia del direttore alla morbida voluttuosità di tante celebri esecuzioni del passato, è stata comunque compensata da una incredibile varietà di atteggiamenti espressivi all’interno di un arco tanto sottilmente diversificato, quanto in realtà teso e compatto.
Un Brahms, insomma, che si è fatto ascoltare con interesse per il taglio interpretativi originale impresso dagli interpreti. Successo e ben dieci chiamate in proscenio per la splendida prestazione di De Maria che ha offerto due incantevoli bis, un Improvviso di Schubert ed un Intermezzo di Brahms.