“La leadership delle donne nelle relazioni internazionali. La donna come strumento di mediazione e pace” è l’incontro tenuto recentemente dagli avvocati e mediatrici Maria Morena Sambugaro e Michela Fugaro e dal notaio e mediatrice Maria Teresa Battista.
Michela Fugaro ha introdotto e coordinato l’incontro con una panoramica sociologica in punto di efficacia della mediazione nelle situazioni di conflitto in generale. Maria Morena Sambugaro ha proseguito illustrando lo strumento della Mediazione introdotto con il Decreto Legislativo N. 28/2010.
Adottata per la sua funzione deflattiva del contenzioso giudiziale, ‘smaltimento’ dell’arretrato dei Tribunali e riduzione della durata dei processi, assieme alle altre forme di giustizia alternativa o complementare (negoziazione ed arbitrato), la Mediazione ha avuto modo di affermarsi come prioritaria tra gli strumenti di risoluzione dei conflitti di natura civile, tanto da essere ulteriormente rinforzata e valorizzata dalla Riforma Cartabia, in occasione dell’ultima riforma delle norme del Processo in generale.
La Mediazione, superata la battuta di arresto conosciuta 2012 per mano della corte Costituzionale, ripartita per mano del Legislatore come procedimento da esperire prima di adire la via giudiziale del processo per specifiche materie, oltre che strumento per la soluzione delle controversie prima e fuori dai Tribunali, ha dato modo ed offerto alle donne la possibilità di rendersi soggetti attivi ed operatori in senso tecnico della Mediazione stessa e di mettere in pratica le loro potenzialità che, nello specifico, si sono rivelate a prescindere da una specificità di genere.
Sono passati relativamente pochi anni dall’introduzione della Mediazione come procedimento, non di “giustizia”, ma di soluzione delle controversie, composizione dei conflitti e riappacificazione tra i soggetti in conflitto che arrivano davanti al mediatore, incaricato del singolo o specifico procedimento; ebbene, scorrendo gli elenchi dei mediatori di un paio di organismi cittadini è emerso che nelle realtà prese in esame vi è parità numerica tra i mediatori dei due generi, che fa ben sperare sul cammino per il superamento delle diversità di genere.
Le donne e la mediazione
Maria Teresa Battista ha illustrato come anche nella Mediazione esista una specificità di genere: in tutte le situazioni di conflitto, il ruolo della donna è fondamentale, proprio per la sua naturale e peculiare attitudine allo scambio ed alla condivisione. L’approccio femminile alla mediazione ha un rilievo strategico: la sua naturale propensione alla pace, l’istinto materno di conservazione, l’abitudine a tenere in piedi situazioni familiari e di relazione, occupandosi dei bambini come degli adulti e degli anziani, la predisposizione all’empatia, la capacità di affrontare ed adattarsi alle avversità, la perseveranza e la flessibilità per raggiungere i propri obiettivi, tutte queste soft skills caratterizzano il suo approccio al tavolo della mediazione qualunque essa sia.
Ecco, dunque, che mentre l’Onu continua incessantemente a sensibilizzare ed a raccomandare che al tavolo per la pace possano sedersi anche le donne, in concreto queste rimangono ancora emarginate dai principali negoziati di pace.
Si è quindi passati ad esaminare la Risoluzione delle Nazioni Unite 1325 del 2000 approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 31 ottobre 2000 e che ha lanciato l’Agenda “Donne, Pace e Sicurezza”, uno dei cardini delle politiche del XXI secolo. Essa rappresenta un elemento fondamentale nello sviluppo dei diritti umani delle donne ed il punto di partenza nell’applicazione dell’approccio di genere nel settore Pace e Sicurezza.
E’ la prima risoluzione approvata dall’Onu che menziona in maniera esplicita, l’impatto che le guerre hanno sulle donne ed il loro contributo nelle risoluzioni dei conflitti armati e nell’attuazione della pace. Ma ciò che si è voluto mettere maggiormente in rilievo è la forza innovativa della Risoluzione che sta nel riconoscimento del ruolo attivo delle donne come “agenti di cambiamento”, in una prospettiva in cui le donne non appaiono più come “vittime” ma come risorsa essenziale sia nei processi di pace sia negli interventi in aree di conflitto.
Col mettere in luce la tridimensionalità della prospettiva di genere, la Risoluzione 1325 rappresenta una reale e concreta garanzia della Prevenzione, Protezione e Partecipazione delle donne nei contesti di conflitto armati. Ed è proprio nella terza declinazione della prospettiva di genere “Partecipazione” che risiede la forza innovativa della Risoluzione 1325 ovvero il riconoscimento e la rivendicazione del ruolo attivo delle donne come “agenti di cambiamento”.
Obiettivo della Risoluzione è dunque quello di produrre una svolta culturale, che permetta un diverso inquadramento del ruolo delle donne nelle situazioni di conflitto, ancora troppo poco presenti tra i protagonisti dei processi di pace e sicurezza. Alle donne viene riconosciuta una forte capacità di peace-building, di dialogo tra le diverse fazioni coinvolte in un conflitto; viene riconosciuta loro anche la capacità di aumentare la trasparenza e il carattere inclusivo e sostenibile dei processi di pace.
La strategia è quella del women voice approach: la partecipazione attiva delle donne.
Si è sottolineata l’importanza di lavorare non solo per le donne ma anche con le donne, cioè far sì che loro non siano solo beneficiarie, ma partecipino alla realizzazione, progettazione, monitoraggio dei progetti, che abbiano un ruolo attivo (agency) proprio come protagoniste del cambiamento sociale e culturale che è fondamentale per lo sviluppo.
È dimostrato che, dove non c’è uguaglianza di genere, dove c’è più discriminazione di genere sono sempre contesti più poveri, economicamente più proni ai conflitti e alle crisi. C’è una stretta correlazione dunque tra povertà economica e disuguaglianza di genere. Lavorare per l’uguaglianza di genere significa dunque lavorare per lo sviluppo economico dell’intera comunità.