L’8 e il 9 giugno si vota anche per il rinnovo del Parlamento Europeo, dal voto uscirà chi guiderà la Commissione nei prossimi cinque anni ma poi la Commissione sarà il frutto di un negoziato fra i diversi governi che dovranno far valere il peso dei rispettivi Paesi. Insomma, i cittadini votano “soltanto” una parte del sistema di guida dell’Unione e questo distacco, questo non essere protagonisti pienamente, è certamente una delle cause di disaffezione dei popoli europei a quello che resta uno dei “progetti vincenti” della storia continentale.

Vediamo allora cosa pensano gli Italiani dell’Unione europea e le ragioni per le quali deve o non deve proseguire nel suo cammino. Anni di manipolazioni informative e di burocrazia kafkiana hanno eroso il consenso della gente comune all’Unione: il grafico qui sotto è relativo all’ultima rilevazione SWG dell’8 aprile scorso:

La fiducia verso Bruxelles è crollata durante la crisi finanziaria nel primo decennio del secolo quando il governo europeo ha chiesto piani di contenimento della spesa brutali ai PIIGS, ovvero i Paesi dall’alto debito che potenzialmente rappresentavano il punto debole del neonato Euro: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Speculazione a parte, le responsabilità nazionali nel non predisporre politiche di bilancio rivolte al contenimento della spesa, e quelle individuali nel non voler pagare le imposte, erano evidenti.

Il top della fiducia, non a caso, risale ai primissimi momenti dell’Euro quando sembrava che la moneta unica potesse essere quell’ombrello che toglieva l’imbarazzo della “liretta” perennemente fragile.

E non è un caso se, a differenza dei Padri fondatori che puntavano a creare un’Europa pacifica, sono le ragioni economiche quelle che interessano gli Italiani: siamo favorevoli a poter circolare liberamente, a fare scambi senza pagare dazi, e avere stabilità economica in Italia (il 63% del campione). Delle ragioni ideali – far parte di una delle poche aree democratiche sufficientemente grande per non subire i propri avversari, o vivere in un contesto valoriale simile – gliene frega poco o nulla.

E dove dovrà andare la nuova Europa, quella che uscirà dal voto di giugno? verso una realtà confederale più che unitaria. Lo evidenzia bene la tabella qui sotto: ci interessano ancora le libertà di fare affari, ma non condividendo troppa sovranità.

E questo torna anche nelle intenzioni di voto: l’area più “sicuramente” aperta all’Europa più unita (Pd, Forza Italia, Renzi-Bonino-Calenda. Verdi e Noi Moderati) è di poco superiore al 40% mentre la parte meno disponibile ad una ulteriore cessione di sovranità (Fratelli d’Italia, CinqueStelle, Lega, Santoro-DeLuca-Rizzo) supera la maggioranza dei consensi potenziali. Ci sono poco meno di due mesi per confermare o ribaltare questo sentiment.