(di Stefano Tenedini) “Soddisfatto per i risultati del G7 a Verona, per aver ripristinato relazioni di stretta collaborazione con l’industria, per aver incontrato partner stranieri sia inediti che alleati storici, per la convergenza sulla necessità di rafforzare e allineare le regole dello sviluppo, per mettere in sicurezza le forniture indispensabili alla produzione delle nostre imprese, ma anche per la conferma che l’Italia sarà un ponte per fare dell’Africa il continente del futuro”.
Parole di Alfredo Urso, ministro dell’Impresa e del Made in Italy, alla conclusione del G7 nella giornata che ha visto Verona al centro della geo-economia mondiale. Solo propaganda, come dicono molti con una punta di fastidio, oppure è il legittimo ottimismo per l’inizio di un nuovo – e aggiungerei che era ora – ruolo attivo dell’Italia fuori dai propri confini, e magari anche dentro? Lasciamo la politica a chi crede che la priorità oggi sia il voto in Basilicata e non gli approvvigionamenti di materie prime per tenere aperte le aziende, con tutto il rispetto per gli elettori lucani.
Tra i risultati del G7 la riapertura di un “confronto reale” con le industrie
Ragioniamo di economia, invece. Se invece che di geopolitica – scienza di enorme importanza che in Italia purtroppo è diventata un giochino da salotto televisivo – parliamo di geoeconomi,a la linea seguita da Urso nel suo riassunto del G7 assume ben altro senso. Che i governi dei Sette (un club che a seconda degli anni vale tra il 45 e il 49% del PIL del pianeta) abbiano riaperto un confronto “reale, concreto e pragmatico” con chi rappresenta gli interessi delle imprese è una notizia che passerà sicuramente sotto un silenzio sbadato (o malevolo), ma è un ottimo segnale che si intende iniziare a rimettere in sesto una parte dell’economia mondiale che da anni prende mazzate di varia natura.
Torno a ribadirlo. Non è il solito teatrino domestico al quale anche esponenti di questo governo spesso non riescono a sottrarsi: volenti o nolenti il G7 ci porta su un palcoscenico da Star Wars, che crediamo di meritarcelo oppure no. Se facciamo qualcosa di buono ne ricaviamo una proroga per non essere sfrattati, se facciamo casino e balbettiamo scuse ci buttano fuori come James Bond che eiettava il passeggero dalla Aston Martin. Se invece mettiamo la faccia su un piano credibile ci sono due possibilità: o sfruttiamo quest’anno di presidenza per farlo partire davvero, migliorando così anche le nostre condizioni, o sprechiamo la chance e l’Italia ci metterà molti anni per ricucire le ferite.
La critica è che si sono sentiti solo annunci, ma di nuovo: è il G7, non è una sagra per piazzisti di vasellame. Qui si analizzano gli scenari, i rischi e i benefici delle strategie ipotizzate, si cerca un consenso e poi ci si mette al lavoro. A questo link il documento conclusivo condiviso dai Sette ieri a Trento. In tutto questo, con 2100 miliardi di dollari di PIL, l’Italia è l’ultimo vagone del treno: non lo trainiamo noi, è già tanto se gli stiamo attaccati. La locomotiva americana viaggia a 23,3 mila miliardi di dollari, seguita a molta distanza da Giappone a 5000, Germania a 4300, Regno Unito un filino più avanti della Francia (3100 e 3000). Soddisfatti per stare 100 miliardi avanti al Canada, noi in questo club ci siamo e potremmo addirittura imparare a mangiare con le posate.
Vogliamo parlare di annunci? Anche il Concistoro finisce solo con un annuncio: la scelta del nuovo Papa. Idem il voto di Montecitorio per il presidente della Repubblica: dopo tante scaramucce imbarazzanti e voti nel cassonetto, alla fine abbiamo solo un signore che comincia a rappresentare gli italiani, non uno che c’è già riuscito. Come il premio Nobel per la pace donato a Obama prima di aver fatto alcunché per meritarselo: così, sulla fiducia. Gli annunci non sono il male assoluto, lo diventano se poi non si vede niente di concreto o si buttano soldi in cattedrali nel deserto. E’ questo che non si perdona.
Dal memorandum d’intesa con Kyiv attesi vantaggi per l’interporto di Verona
Urso ha incontrato la vicepremier ucraina Yulia Svyrydenko, annunciando che fra tre settimane a Trieste si firmerà un’intesa per il trasporto di merci tra Ucraina e Italia, con ricadute sui porti di Trieste e Venezia e sugli interporti di Padova e soprattutto di Verona. Tra le ipotesi di collaborazione ce n’é una di enorme valore: l’uso dei dati raccolti dai satelliti – tecnologia in cui l’Italia è tra i leader – per individuare dallo spazio i campi minati dai russi e bonificarli. Due dimostrazioni che siamo davvero con gli ucraini ora, non dopo la guerra quando ci sarà da guadagnarci. Se saremo all’altezza della parola, potremo partecipare alla ricostruzione. Non è cinismo, è diplomazia economica. In Europa la praticano tutti, tranne noi.
Mettiamoci anche i bilaterali con la Corea del Sud (per rafforzare R&S nelle tecnologie digitali), con il Giappone (per AI e microelettronica), o con gli Emirati che investono in connettività, un settore strategico con trasporti aerei e marittimi e cavi per la trasmissione dati. C’è intesa sul bisogno di allineare le regole e di coinvolgere le PMI nell’innovazione. E soprattutto evitare traumi per le materie prime: è già successo in pandemia, e ora sarebbe un’arma micidiale nella guerra ibrida che si scatenerebbe contro l’Occidente. Anche per questo serve il sostegno alle imprese: lo dice anche Draghi, suggerendo alla UE di stanziare 500 miliardi l’anno per 10 anni.
Urso: “Dopo l’intesa con Silicon Box ce ne saranno altre, anche più consistenti“
Per finire con il libro dei sogni, che da italiani vorremmo vedersi avverare almeno in parte, il G7 potrebbe segnare una fase nuova per l’attrattività del sistema Paese. “Vi stupite dell’interesse di Silicon Box per il Nord Italia, ma questa operazione non è nata ieri”, ha detto Urso ai giornalisti. “C’è voluto un anno di lavoro insieme al ministero per la ricognizione del territorio. Ora si sono concentrati sulle regioni del Nord: trarranno le loro conclusioni e decideranno. Ed è solo il primo accordo annunciato, ne seguiranno altri nei prossimi mesi e anche più consistenti”.
Inoltre Silicon Box non nasconde di ritenere il progetto “chiplet” così importante da essere quasi già “cantierabile”, forse perfino entro il 2024. “Siamo rimasti scotatti da Intel? No”, ha spiegato Urso, “sono loro ad aver rivisto i progetti rispetto al piano di espansione annunciato in Europa, in pratica rinunciando all’ipotesi di maggior valore innovativo. La società di Singapore punterà su una tecnologia inedita, ma se Intel volesse completare il progetto iniziale noi ci siamo. Il governo e le regioni hanno risposto positivamente e non abbiamo lasciato nulla di intentato”.
In ogni nazione c’è un detto che si adatta alla politica, qualsiasi politica: “Non fare ai bambini promesse che potresti non mantenere: non te lo perdoneranno. Falle agli elettori, le berranno ogni volta”. Questa volta però per un miliardo di motivi – non tutti basati sull’amor di patria – per il governo la questione è un’altra. Alla prima esperienza alla guida del Paese, hanno gli occhi del mondo addosso: per usare un eufemismo, non tutti quegli occhi sorridono. Come cittadini speriamo che ne siano consapevoli, e che ripaghino la fiducia di chi gliel’ha accordata. E lavorino anche per chi legittimamente la pensa diversamente.