(b.g.) Tre milioni di ragazzi – le classi dal 1915 al 1920 – furono inquadrati nel Regio Esercito Italiano nella Seconda guerra mondiale. Uno su dieci morì in combattimento; uno su due conobbe la prigionia: catturati in Africa Orientale, in Libia, sul fronte russo o, dopo l’8 settembre, in Italia da parte delle truppe germaniche. 600mila finirono prigionieri dagli alleati occidentali e vennero sparpagliati fra Usa e Impero britannico (33mila in India); 650mila vennero internati in Germania; 70mila finirono in Siberia o vennero passati per le armi sul Don (dai gulag russi tornarono appena in 10mila; ultimi, gli ufficiali, nel 1954).

L’Italia repubblicana per mille ragioni calò una cappa di silenzio su questi soldati che rientrarono – senza squilli di fanfara, ma col solo ordine di presentarsi entro 24 ore al proprio Distretto militare – fra il 1946 ed il 1947 dalla prigionia e il racconto di quel periodo venne affidato alla stampa conservatrice e ad una narrativa via via sempre più folta: ufficiali e semplici soldati mettevano nero su bianco le loro esperienze. Ma era una pubblicistica rivolta, in primis, a loro stessi: reduci, conservatori, non il largo pubblico.

Adesso che quella generazione è “andata avanti”, come un fiume carsico torna l’interesse per quel periodo che ha coinvolto tantissime famiglie italiane e che è sconosciuto ai più. Studi storici più approfonditi, e racconti che da “storie di famiglia” diventano memoria collettiva. Una memoria che scopre come incredibilmente gli Italiani in prigionia non si spezzarono, tentarono la fuga, salvarono quando possibile il Tricolore (in una celebre fuga, Felice Benuzzi lo issò sull’allora inviolato Monte Kenya), non cedettero alle lusinghe di nazisti e comunisti che cercarono di portarli dalla loro parte, lavorarono sodo e, alla fine, si videro persino derubati del soldo guadagnato dal loro stesso governo…

E’ il caso di “Lontani Orizzonti” di Maurizio Amaro, appena pubblicato per i tipi di Gingko Edizioni, che apre uno squarcio su uno dei campi di prigionia inglesi più noti e famigerati, quello di Yol, nell’allora Punjab oggi Himachal Pradesh (la “provincia innevata”) ai piedi dell’Himalaya. Una cittadina di appena 10mila abitanti che ospitò i prigionieri tedeschi della Prima guerra mondiale mentre dal 1941 vi finirono 10mila ufficiali italiani catturati in Africa. Chi non venne dislocato in Kenya o in Sud Africa venne spedito prima in Palestina, nel Sinai, sotto le tende e in mezzo ai serpenti, per poi venir trasportato in India via mare.

Non pochi i veronesi finiti in quel campo. Fra loro l’avvocato Savoia (uno dei fondatori del MSI a Verona), l’industriale del vino Bolla, mio padre, e il tenente Pierluigi Amaro che fu uno degli ultimi ad arrendersi nel ridotto di Gondar, in Etiopia, ben dopo la resa del Duca d’Aosta sull’Amba Alagi. Il compound di Yol prevedeva una zona per gli ufficiali più fedeli al Re dopo l’8 settembre ed una “di punizione” – il campo 25 – che accolse mille ufficiali che dopo l’8 settembre si rifiutarono di collaborare con l’ex nemico. Amaro dopo il conflitto restò nell’Esercito, prestò servizio alla Setaf poi Ftase di via Roma e poi al comando Nato in Germania.

A distanza di ottant’anni il figlio di Pierluigi Amaro, Maurizio, ne racconta la storia cambiando la usuale prospettiva: il doppio racconto di un fidanzamento iniziato nel 1935 e conclusosi undici anni dopo. Nel mezzo, un’Italia che muore e rinasce. Una lettura assai gradevole, un tuffo nel passato dei nostri genitori che scopriamo molto più simili a noi e ai quali, oggi, dobbiamo riconoscere una tempra, quella sì, a noi sconosciuta.

Dopo il rientro in Patria – dal 1946 al 1954 – questi ragazzi diventati uomini dovettero ricostruirsi la vita: quelli in SPE tornarono in servizio e addestrarono milioni di ragazzi italiani inquadrati nel nuovo esercito non più in grigioverde; gli altri, quelli di complemento, tornarono alle loro professioni. Tutti si rifecero una vita, misero su famiglia e nascosero le ferite di quei dieci anni. Rimboccandosi le maniche, senza piagnucolare.

Maurizio Amaro presenterà “Lontani Orizzonti”, il suo primo romanzo dopo due raccolte di racconti, venerdì 31 maggio al Liston 12 in Piazza Bra alle ore18.00 (a Yol, oggi base dell’esercito indiano , presidio dei confini col Pakistan saranno le 21, e il turno di guardia sarà appena cambiato…)