(di Bulldog) Vinitaly 2024 presentato all’Europarlamento di Bruxelles certifica che è in corso una battaglia gigantesca su quale fiera europea sia la rappresentante ideale del mondo del vino continentale, un business che macina  130 miliardi € di fatturato, garantisce un gettito fiscale di 52 miliardi e dà lavoro a 3 milioni di addetti. Un business che, però, è passato dal ruolo di “ambasciatore nobile del made in Europe” a quello di “parente un po’ scroccone” che sottrae tutte le risorse disponibili al resto dell’agroalimentare. E’ noto, ed è evidente a tutti, che la crescita esponenziale del vino europeo fuori dall’Unione è avvenuta grazie anche ad una massiccia iniezione finanziaria comunitaria che l’ha sostenuta con rimborsi (quasi) a piè di lista.

Una cornucopia che fa gola a tanti altri produttori continentali: grano (attenzione a quanto accade al confine est dell’Unione su questo dossier), formaggi e latte, carni…tanti Paesi che non producono vino chiedono al governo europeo di non guardare soltanto a questo nel momento in cui staccano assegni milionari.

Vinitaly 2024, il flop del ProWein appena concluso

Ma torniamo alle fiere. Si è appena concluso il ProWein di Düsseldorf, la fiera che doveva togliere a Verona la leadership europea. Una volta i tedeschi erano un simbolo di efficienza, quest’anno – a partire dai bagni per finire con lo sciopero di aerei e treni – erano a livello dei peggiori PIIGS di qualche anno fa. Düsseldorf paga la concorrenza di Vinexpo che da fiera regionale a Montpellier è diventata fiera-bandiera della Francia a Parigi e capite bene che per un buyer statunitense o cinese trascorrere un weekend di lavoro a Parigi suona meglio, molto meglio, che passarlo sulle fredde, tristi e solitarie rive del Reno.

Vinitaly 2024, a Bruxelles conta chi sa fare meglio lobby

Verona andando a Bruxelles ha dichiarato un bel “vedo” alle ambizioni francesi. La politica del vino non si fa a Parigi – per fortuna -, ma a Bruxelles e lì vale una capacità di lobbying e di fare sistema che è (ancora) sconosciuta a Vinexpo. Verona è oggi più brava. Democristianamente sa quando coinvolgere la politica, sa blandirla con le sue manifestazioni dove il gossip politico è anche una delle componenti del successo della rassegna stessa: se mi viene il premier, l’eurocommissario, il presidente della Repubblica vuol dire che anche io espositore sono nel posto giusto.

E il mondo del vino ha bisogno di una fiera che sappia soprattutto “vendere” il vino non soltanto agli addetti ai lavori – quelli oramai si intercettano sempre più nei loro paesi di residenza tanto che le tre fiere europee sono in viaggio praticamente tutto l’anno – ma soprattutto ai decisori politici che debbono continuare a vedere il vino come l’ambasciatore nobile e debbono battersi per lui contro la deriva salutistica, contro le lobby che vogliono piazzare gli altri prodotti agricoli, e soprattutto possono finanziare nuove campagne per riportare al vino quei consumatori che lo stanno abbandonando o non sono interessati oggi a conoscerlo..

Come diceva Henry Kissinger servono “più soldi e più armi” se vogliamo vincere la guerra del vino dei prossimi anni. E quelle armi, e quei soldi, stanno a Bruxelles. E’ lì che si gioca il futuro del vino.

VeronaFiere ha mostrato che questa partita l’ha compresa e, soprattutto, la sa giocare.  Ora bisogna che il mondo del vino italiano eviti di inseguire ogni fiera proposta dai competitor francesi e tedeschi e bisogna che Verona venga supportata anche dai prossimi europarlamentari (nella foto coi vertici di VeronaFiere Paolo Borchia, ID, e il decano De Castro, PSE) che dovranno saper fare lobby all’interno delle famiglie politiche per arginare i colleghi polacchi, i verdi anti-coltivatori, i parlamentari no-alcool, i lobbisti della birra … e tutti quelli che vogliono mettere le mani sui fondi di Bruxelles.

Intanto, ieri a Parigi e Düsseldorf sono fischiate le orecchie a più d’uno. Chi voleva far scomparire il Vinitaly ora risale disordinatamente le valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza.