(di Gianni Schicchi) Si è conclusa la rassegna di musica da camera promossa da I Virtuosi Italiani nello spazio di San Pietro in Monastero. L’ultimo concerto in programma ha visto la partecipazione della giovane pianista coreana SooJung Diana Kim, accompagnata da alcuni archi de I Virtuosi, capeggiati dal violinisti Vincenzo Bolognese e Alberto Martini, con la viola di Giancarlo Vacri e il violoncello di Giuseppe Barutti. Il loro impegnativo programma comprendeva: il Quartetto n° 6 op. 80 di Mendelssohn e il Concerto per pianoforte n° 3 op. 37 di Beethoven nella versione ridotta di Vincenz Lachner.
Mendelssohn scrisse il suo quartetto sull’onda emotiva della morte della sorella Fanny, alla quale non seppe poi sopravvivere per più di sei mesi. Nel tentativo di lenire il dolore per la gravissima perdita si trasferì per una cura di bagni termali in Svizzera insieme ai familiari, dove ricominciò a comporre. Completò infatti lo sconvolgente quartetto unanimemente considerato il “Requiem per Fanny”, in considerazione del clima insolitamente cupo, febbrile ed agitato che lo pervade da cima a fondo, evidenziato anche dall’impiego della tonalità in fa minore.
Un lavoro, che come scrisse l’amico Ignaz Moscheles, “sembrava uscire da un sogno”, anche se a noi sembra piuttosto un autentico grido di rivolta verso l’irruzione del male nella vita. In ogni caso, le circostanze esterne legate alla sua genesi non possono spiegare compiutamente le novità formali e linguistiche adottate, nell’indicarne una nuova fase creativa dell’autore. Questo è particolarmente evidente già nel tempestoso iniziale Allegro vivace assai, dove ovunque dominano i suoni ribattuti, le sincopi, i salti ascendenti e discendenti, le rapidi e improvvise accensioni e crescendo, dando vita ad un paesaggio musicale tra i più inquieti e concitati.
Personalmente vi troviamo grandi analogie con la spiritualità di uno Schumann che concepì il suo composito op. 41 per combattere la solitudine nella quale lo aveva lasciato la moglie Clara, lontana per una tournée di concerti in giro per il mondo. Mendelssohn è parimente lirico, fantastico e tanto prossimo a Schumann per la profonda spiritualità del pensiero, dell’animo, delle azioni che lo accomunano all’altro campione del romanticismo.
Queste relazioni, queste vicinanze, le troviamo espresse nell’esecuzione degli archi de I Virtuosi Italiani, nella quale il nitore non è stato minore della passione, la vivacità non è andata a scapito della cura formale e il rispetto dei testi ha accresciuto il suo interesse attraverso l’originalità, la individuale distinzione della lettura dello splendido pezzo di musica.
La seconda parte del pomeriggio a San Pietro vedeva all’opera anche la giovane pianista coreana SooJung Diana Kim col Terzo Concerto di Beethoven, nella versione per pianoforte e quartetto di Lachner. Dopo l’esposizione iniziale degli archi, è sempre l’entrata del pianoforte che ci fa allargare il cuore perché le pause che intercorrono fra le tre sventagliate di scale in do minore non sono interruzioni di chi per un attimo ha perduto il filo del discorso, ma momenti di attesa di ciò che verrà e non sappiamo ancora cosa sia. L’esposizione del tema non è mensurale, ma declamata e poi quando viene ripetuto un tono sopra e armonizzato, gli accordi sono arpeggiati.
Ma a questo punto la SooJung ha dimostrato di sapere cosa consiglia la filologia più recente e indossa bruscamente i panni dell’interprete novecentesca. Certi tempi sono però inspiegabilmente troppo veloci, l’uso del pedale, in un ambito così ristretto come San Pietro in Monastero, diventa eccessivo e assordante. Qualche volta sembra affiorare persino un solista che pare dire “mi voglio sostituire a Beethoven” e faccio di testa mia, che d’altronde è perfettamente legittimo, come nell’apprezzabile Largo.
Però i suoi due finali così veloci e meccanici, che vengono prima e dopo gli adagi, suonano incoerenti e vani. Ciò che interessa veramente alla giovane coreana sembra mettere vanitosamente in mostra le sue dita molto agili E lo mostra ancora più nel sinuoso Notturno di Chopin concesso come bis. Al termine applausi cordiali al suo indirizzo e agli strumenti che l’hanno diligentemente accompagnata.